Alle frontiere d’Europa, 16 mila vittime in vent’anni
Mare monstrum/Da quando l’Ue ha deciso di dotarsi di una politica comune e diventare una «fortezza», la mortalità migratoria ha subìto un’accelerazione
Secondo le ong 16 mila persone sono morte alle frontiere dell’Europa tra gennaio 1993 e marzo 2012, con un’accelerazione della mortalità migratoria dal 2000, quando gli stati membri dell’Unione Europea (Ue) hanno deciso di mettere in atto una politica comune di immigrazione e d’asilo basata sulla messa in sicurezza delle frontiere per lottare contro l’immigrazione irregolare.
All’indomani del naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa, le dichiarazioni di numerosi politici europei potevano far pensare che questa terribile disgrazia avrebbe rappresentato una svolta.
Tuttavia, alcuni giorni dopo aver osservato un minuto di silenzio in memoria delle vittime, il Parlamento europeo ha adottato il regolamento Eurosur. Questo sistema di rafforzamento della sorveglianza delle frontiere sud dell’Europa è stato concepito per la lotta contro la criminalità transfrontaliera e l’immigrazione irregolare. A ottobre 2013, è stato magicamente trasformato in dispositivo di salvataggio in mare: nell’annunciare la sua entrata in vigore, il commissario europeo Malströmm si è felicitata di questo passo in avanti verso un miglior contrasto della criminalità e un’individuazione più rapida dei boat people in difficoltà.
Analogo cambiamento di tono da parte dell’agenzia Frontex, che pretende «di aver contribuito al soccorso, nel 2013, di 16 mila migranti». Sino ad oggi, Frontex aveva l’abitudine di mettere in primo piano i suoi successi in termini di intercettazioni di "clandestini": ora si tratta di operazioni di soccorso. E ancora, è per «una missione militare ed umanitaria di sorveglianza del Mediterraneo» ( Mare Nostrum ) che il governo italiano ha mobilitato due fregate, due pattugliatori, elicotteri dotati di strumenti ottici e a infrarossi, aerei equipaggiati per la sorveglianza notturna e un drone, oltre a 1500 uomini, per una spesa stimata di 1,5 milioni di euro al mese.
La svolta promessa si riduce forse a un artificio semantico? Tutto porta a crederlo, con l’annuncio della Commissione europea, ad inizio dicembre, della creazione di una «task force per il Mediterraneo» destinata a prevenire le morti di migranti. Essa ha l’obiettivo di rafforzare la sorveglianza delle frontiere e la lotta contro il traffico e la tratta di esseri umani, oltre che il crimine organizzato. Ma come potrebbe l’irrigidimento dei controlli evitare che uomini e donne in fuga dalla miseria e dalle persecuzioni intraprendano rotte sempre più pericolose per tentare di raggiungere ad ogni costo un’Europa che, pur essendo inospitale, non cessa di essere attraente?
Come altri episodi, il naufragio del 3 ottobre ha messo in evidenza il fatto che numerosi migranti, etichettati come "clandestini", corrono rischi inimmaginabili per raggiungere l’Europa e lo fanno per trovare una terra d’asilo.
Dall’inizio del conflitto siriano, più di due milioni di rifugiati hanno abbandonato il paese e si trovano negli stati confinanti e in Nord Africa. L’Ue ne ha accolti qualche migliaio, arrivati con mezzi propri – compresi quelli illegali: perché le politiche restrittive in materia di visti e permessi di soggiorno degli stati membri non consentono vie d’accesso legali. Fingendo di voler correggere questo approccio dissuasivo, il programma di task force prevede di sollecitare questi stati ad accogliere il maggior numero di rifugiati, attraverso operazioni di reinstallazione in Europa di coloro che si trovano nei campi dei paesi vicini, e di «esplorare le possibilità» di favorire «sistemi d’ingresso protetti» nell’Ue.
Intenzioni che resteranno lettera morta. In primis, perché non hanno niente di nuovo: per dare un contenuto a una task force che non è altro che una risposta congiunturale all’emozione dell’opinione pubblica a seguito del "naufragio di Lampedusa", la Commissione europea si è accontentata di rispolverare le vecchie ricette inefficaci che propone da ben 15 anni. Inoltre, queste intenzioni, di carattere non vincolante, riposano sulla buona volontà e sullo spirito di solidarietà. Difficile credere che gli stati membri, impegnati da più di dieci anni a organizzare le loro politiche d’asilo come strategie di esclusione dei rifugiati, aprano spontaneamente le braccia alle stesse persone che cercano di dissuadere dall’oltrepassare le loro frontiere.