Politique de signature des accords de réadmission italiens
Gli accordi di riammissione stipulati dall’Italia sono circa 52 (fonte: Prefetto Ronconi)
Accordi di riammissione Italia-Tunisia
Gli accordi con la Tunisia possono essere considerati un esperienza pilota per la esternalizzazione della detenzione dei migranti irregolari nei paesi di transito.
L’Italia ha stipulato accordi di riammissione con la Tunisia dal 1998 subito dopo l’approvazione della legge Turco- Napolitano che istitutiva i Centri di permanenza temporanea (CPT) oggi centri di identificazione ed espulsione (CIE).
La stipula di intese di riammissione degli stranieri irregolarmente presenti sul territorio era, infatti, prevista dall’art. 9 comma 4 L.n.40/98 che disponeva che “il Ministro degli Affari Esteri ed il Ministro dell’Interno promuovono le iniziative occorrenti, d’intesa con i paesi interessati al fine di accelerare l’espletamento degli accertamenti ed il rilascio dei documenti eventualmente necessari per migliorare l’efficacia dei provvedimenti previsti dalla legge”, disposizione contenuta anche nel comma 4 art. 11 D.lvo 98/ n.286 ed ampliata, (con un comma introdotto dall’art. 10 L.2002 n189) con la previsione di intese di collaborazione che “possono prevedere la cessione a titolo gratuito alle autorità dei Paesi interessati di beni mobili ed apparecchiature specificatamente individuate, nei limiti delle compatibilità funzionali e finanziarie definite dal Ministro dell’Interno, di concerto con il Ministro del Tesoro, del bilancio e della programmazione economica”.
La stipula dell’intesa Italia-Tunisia è avvenuta in forma semplificata senza, quindi, la procedura parlamentare di autorizzazione e ratifica (v. suppl. ordinario gazzetta ufficiale n. 11 del 15 gennaio 2000) prevista per gli atti internazionali.
L’intesa prevedeva supporti tecnici e operativi e contributi economici (15 miliardi di lire per tre anni) al fine del “sostegno in termini di equipaggiamento tecnico e operativo” nel settore della prevenzione e della lotta all’immigrazione clandestina ed un contributo 500 milioni di lire per la realizzazione in Tunisia di centri di accoglienza per le persone riammesse in virtù dell’accordo.
Sino ad oggi 13 centri di detenzione per stranieri sono stati costruiti in Tunisia: uno nei dintorni di Tunisi, un altro a Gabes ed al confine libico, dei restanti 11 centri l’ubicazione è sempre stata mantenuta segreta dalle autorità tunisine.
Per incentivare l’intesa la Tunisia otteneva, altresì, dal suddetto accordo una quota “privilegiata” di ingressi legali in Italia all’interno del decreto flussi: 3mila nel 2000 e nel 2001, 2000 nel 2002 e 600 nel 2003.
Per finire, l’accordo prevedeva la cooperazione di polizia italo-tunisina per operazioni di pattugliamento congiunto in acque territoriali tunisine, la presenza stabile di un ufficiale di collegamento della polizia italiana di stanza a Tunisi (un accordo che anticipa le missioni congiunte di Frontex) e la riammissione per cittadini di uno Stato terzo, diverso da stati membri dell’Unione del Maghreb Arabo i quali “siano entrati nel territorio della parte richiedente dopo aver soggiornato o dopo essere transitati attraverso il territorio della parte contraente richiesta”.
L’esclusione dei paesi dell’Unione del Maghreb sarebbe spiegabile con l’esigenza dello Stato Tunisino di garantire il regime di relativa libertà di circolazione con gli altri paesi maghrebini.
Nel 2001, però, scaduti i contributi italiani previsti dall’accordo del 1998, la crescita dei flussi in arrivo sulle coste siciliane subì un’impennata. La quota riservata alla Tunisia fu, quindi ridotta, per punizione, nel 2003 a sole 600 unità l’anno.
Si rendeva necessaria una rinegoziazione dei termini dell’accordo.
Il 13 dicembre 2003 i Ministri dell’interno Giuseppe Pisanu e Hedi M’Henn hanno stipulato un nuovo accordo relativo alla riammissione e alla cooperazione di polizia. L’intesa prevedeva la ripresa delle forniture di equipaggiamenti da parte italiana e corsi di formazione per la polizia tunisina.
L’Italia si impegnava ad innalzare nuovamente la quota riservata alla Tunisia nell’ambito dei flussi di immigrazione legale. In effetti, solo sei giorni dopo la firma dell’accordo, il governo italiano ha emanato due decreti flussi per il 2004, riportando la quota riservata alla Tunisia da 600 al massimo storico di 3.000 unità.
Il sistema premiante sopra descritto ha consentito in 10 anni il rimpatrio di 9.000 cittadini tunisini, ma i migranti in partenza dal Paese africano sono aumentati in modo esponenziale a causa della crisi internazionale che ha ulteriormente peggiorato la situazione economica nei paesi del Nord Africa.
Si arriva così agli avvenimenti del 2009, all’intesa italo-tunisina firmata dal Ministro degli interni Maroni. Intenzione dichiarata ed in parte attuata del Ministro era quella di rimpatri sommari di massa da Lampedusa in Tunisia, rimpatri sino ad oggi esclusi negli accordi con la Tunisia per evitare un impatto mediatico.
Sul contenuto dell’ultima intesa Italia-Tunisia si riporta il testo dell’audizione che il direttore centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere, Prefetto Rodolfo Ronconi, ha reso al Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’Accordo di Schengen, di vigilanza sull’attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione - Camera dei deputati/ Senato della Repubblica: “Il Ministro dell’interno, il capo della Polizia (a livello tecnico) e la mia Direzione centrale (a livello operativo) hanno raggiunto un’intesa con la Tunisia, secondo la quale il Governo tunisino accetta il rimpatrio da parte nostra di cittadini provenienti dal loro Paese mediante una semplice procedura: il presunto cittadino o immigrato clandestino proveniente dalla Tunisia deve essere sentito dalle autorità consolari tunisine, in seguito la scheda fotodattiloscopica della persona è inviata, attraverso le autorità consolari, alla Direzione centrale della Polizia scientifica di Tunisi e, se il riscontro fotodattiloscopico ha un esito positivo ed è accertata la sua nazionalità, viene rilasciato un lasciapassare e l’immigrato clandestino è rinviato in Tunisia.
La procedura descritta è prevista nell’accordo di riammissione firmato con la Tunisia, ma fino a
qualche mese fa era molto complicato poter rimpatriare più di 3, 4 o 5 cittadini tunisini al mese.
Grazie all’accordo che è stato raggiunto, siamo in grado ora di rimpatriare circa 200 cittadini
tunisini al mese, per far fronte all’attuale momento di emergenza - se vogliamo usare questo termine -, al termine del quale potremo regolarizzare la situazione ed attestarci su un numero di rimpatri mensili di circa 100 cittadini tunisini. Abbiamo compiuto dei grossi passi avanti non soltanto sotto il profilo numerico, ma anche sotto il profilo dell’accettazione, da parte della Tunisia, di fare onore all’accordo di riammissione.”
Ed ancora “L’accordo di riammissione con la Tunisia prevede l’accertamento dell’identità del presunto cittadino tunisino in un arco di tempo non più lungo di quindici giorni. In genere, occorrono quattro giorni per informare l’autorità consolare che, in tale arco di tempo, si deve recare presso il luogo in cui il presunto cittadino tunisino si trova, intervistarlo e raccoglierne le impronte digitali. I dati raccolti devono poi essere inviati a Tunisi. Entro tre giorni, Tunisi dovrebbe dare la sua risposta. La procedura è complessa, ma se questi fossero i tempi nell’arco di dieci o quindici giorni avremmo una risposta certa all’identificazione del soggetto e, nel caso di una risposta positiva, il conseguente rilascio di un lasciapassare.
L’accordo di riammissione prescrive i tempi tecnici per ciascuna singola azione, ma che cosa
accade, o accadeva, in realtà? La Polizia italiana procede al rilevamento delle impronte digitali, che vengono immediatamente inviate al Consolato generale tunisino, il quale le spedisce a Tunisi. Ci sono vari modi di spedire la corrispondenza e uno dei modi più lenti per farlo è tramite la cosiddetta «valigia diplomatica», che parte, in media, una volta a settimana. Se non si fa in tempo a mandare le impronte digitali il giovedì, se ne riparla la settimana successiva, con un ulteriore ritardo di dieci giorni. Superata la fase dell’intervista, che pure richiede tempi abbastanza lunghi, le impronte digitali arrivano a Tunisi.
L’identità e il riconoscimento dattiloscopici hanno una valenza se le impronte digitali esistono già
presso il casellario della Polizia di Tunisi, ma se quelle della persona in questione non sono ancora
state raccolte, non se ne troverà mai il riscontro nel casellario di identità e, quindi, sarà impossibile
riconoscere dattiloscopicamente questo cittadino.
In tal caso, è impossibile riconoscere la provenienza e, quindi, rilasciare il cosiddetto «lasciapassare» per il rimpatrio, a meno che non si sia in presenza di un delinquente già sottoposto a rilievi dattiloscopici. Tutto ciò nonostante la Tunisia appartenga a quei Paesi che, come il Marocco, stanno procedendo al rilievo delle impronte digitali di tutti i loro cittadini, per un fatto di civiltà e di garanzia dell’individuo.
La domanda sorge spontanea: se questa è la procedura perché la detenzione deve durare sei mesi o anche solo 60 giorni?
Il Prefetto Ronconi unitamente al Ministro sembra, poi, aver dimenticato che nel 2005 l’Unione Europea ha sanzionato la prassi dei rimpatri di massa dall’Italia alla Tunisia in quanto violazione del principio del non refoulement, sancito dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951, dall’art. 3 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e dall’art. 3 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.
Accordi di riammissione Italia-Egitto
Nel 2005 tra il governo italiano e quello egiziano si è concluso un "Accordo di cooperazione in materia di flussi migratori bilaterali per motivi di lavoro", siglato al Cairo il 28 novembre dall’ allora Ministro del lavoro Roberto Maroni. Nel testo dell’accordo si prevedeva che i due governi, al fine di "gestire in modo efficiente i flussi migratori e prevenire la migrazione illegale", si impegnassero a facilitare l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoratori migranti da e per l’Egitto. Il governo italiano, dal canto suo, si impegnava a valutare l’attribuzione di una speciale quota annuale per lavoratori migranti egiziani. Nel protocollo esecutivo si legge che il “Ministero del Lavoro e delle politiche sociali italiano comunicherà all’omologo egiziano i criteri, ai sensi della normativa italiana, per redigere una lista di lavoratori egiziani disponibili a svolgere un’attività lavorativa subordinata anche stagionale in Italia. La lista dovrà essere pubblicata sul sito web del ministero del Lavoro italiano”.
Detto accordo non ha per nulla favorito i lavoratori egiziani, ma ha posto le basi per ulteriori accordi di riammissione e collaborazione.
Nel gennaio del 2007 il governo italiano, ha siglato un accordo di collaborazione in base al quale in cambio di poche migliaia di posti riservati ai lavoratori egiziani nelle quote determinate con i decreti flussi annuali, si ammettevano forme di attribuzione della nazionalità molto celeri, grazie anche alla collaborazione di funzionari ed interpreti egiziani presenti in Italia.
Detto accordo ha consentito nel marzo del 2007 il rimpatrio in Egitto di centinaia di cittadini egiziani irregolarmente giunti a Lampedusa attraverso lo “scalo tecnico dell’aeroporto di Catania.
Identico tragitto - Lampedusa, aeroporto di Catania, Egitto - hanno percorso i migranti egiziani respinti nel dicembre del 2008. Detti rimpatri per le modalità e i tempi delle identificazioni e per le motivazioni tutte identiche dei provvedimenti adottati nei confronti dei migranti possono essere considerate delle espulsioni collettive, vietate dall’ordinamento internazionale e comunitario.
Anche per gli accordi Italia-Egitto le dichiarazioni del Prefetto Ronconi rese in sede di Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’Accordo di Schengen, di vigilanza sull’attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione - Camera dei deputati/ Senato della Repubblica sono molto interessanti.
Il Prefetto Ronconi riferisce che “con l’Egitto, esiste un gentlemen’s agreement, per cui rimpatriamo tutti coloro che si dichiarano - o che noi riteniamo - egiziani senza fare ricorso alle impronte digitali.. Si tratta di un gentlemen’s agreement nel senso che, in caso di sbaglio, noi siamo disposti a riammettere la persona erroneamente rimpatriata.”
Le persone diventano pacchi che possono essere rispediti al mittente con buona pace del diritto internazionale.
Accordi di riammissione Italia-Libia
La collaborazione Italia-Libia data dall’anno 2000. Le intese costruite negli anni hanno avuto natura, per lo più, tecnica e precisamente di collaborazione tra le polizie. Comunque dette intese a tutt’oggi sono rimaste segretate.
L’interesse dell’Italia a contrastare i flussi migratori provenienti dalla Libia è sempre stato molto alto, nulla, invece, l’attenzione politica al rispetto dei diritti umani in Libia.
Nel dicembre del 2007 si sono conclusi degli accordi tecnici molto importanti che prevedono il pattugliamento marittimo congiunto da parte di un nucleo operativo italo-libico, a comando libico, effettuato da sei navi della Guardia di finanza italiane. Anche questo accordo non è pubblico.
L’operatività dell’intesa sembrerebbe non ancora in vigore. Non è stata chiarita, comunque, dal Ministero dell’Interno la sorte a cui andranno incontro le persone, migranti e rifugiati, che saranno respinte in mare o fermate nei pressi delle coste libiche dalle unità navali italiane, né sono state indicate le garanzie previste per i richiedenti asilo che rischierebbero un refoulement a catena in caso di rinvio in Libia: dalla Libia essere espulsi nei rispettivi paesi di origine dove andrebbero incontro a persecuzioni.
Nel dicembre del 2008, con l’approvazione del rifinanziamento delle forze armate e di polizia in missioni internazionali, sono state assegnati, per il primo bimestre 2009, circa 5 milioni di euro di fondi pubblici per finanziare l’intesa siglata nel 2007 di partecipazione della Guardia di Finanza alle operazioni di pattugliamento congiunto.
Il 30 agosto 2008 si è firmato l’ulteriore accordo di cooperazione, intesa che perfeziona e porta a compimento, nell’intenzione del Primo Ministro e del Ministro dell’Interno, la cooperazione italo-libica.
Accordo che è stato ratificato in via definitiva dal Senato il 3 febbraio del 2009 senza alcuna modifica al testo approvato in Parlamento.
L’accordo prevede che l’Italia realizzi in Libia infrastrutture di base per un importo di 250 milioni di dollari americani all’anno per venti anni e l’impegno a finanziare per il 50% un “sistema di controllo delle frontiere terrestri libiche”. La Libia, di contro, si impegna a concedere visti di ingresso ai cittadini italiani espulsi in passato dal proprio territorio che desiderino entrare in Libia per turismo, lavoro o per altre finalità. Italia e Libia si impegnano a non ricorrere alla minaccia o all’impiego della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica della controparte e si impegnano, nel rispetto dei principi della legalità internazionale, a non usare né concedere l’uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile nei confronti della controparte. Il Trattato prevede meccanismi di consultazioni politica, con riunioni annuali a livello di Capi di Governo, definite ‘Comitato di partenariato’, e di Ministri degli affari esteri, definite ‘Comitato di suivi’. L’intesa costerà circa 214 milioni di euro per il 2009, 254 milioni circa per il 2010, oltre 250 milioni per il 2011 e oltre 181 milioni a decorrere dal 2012. A tali oneri si provvede tramite l’utilizzo delle maggiori entrate derivanti dall’addizionale Ires che pagherà l’Eni.
Infine il 30 agosto diventa la ‘Giornata dell’amicizia italo-libica’. I libici si sono impegnati a non celebrare più, il 7 ottobre, la cosiddetta ‘Giornata della vendetta’, che ricordava l’espulsione degli italiani dalla Libia nel 1970.
Il Senato della Repubblica quindi, non ha raccolto nessuna delle raccomandazioni che erano state inoltrate da un gruppo di associazioni (Amnesty International, Arci, Asgi Centro Astalli Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, Medici Senza Frontiere, Save the children, Senza confine) che auspicavano “una rinegoziazione dell’accordo nella parte relativa alla collaborazione per il contrasto all’immigrazione irregolare, ponendo alla Libia chiare condizioni a cui subordinare la cooperazione anche economica “ ed , in ogni caso, chiedevano di inserire tra le norme di esecuzione approvate con l’autorizzazione delle garanzie: 1) la subordinazione della cooperazione dell’Italia al rispetto dei diritti umani da parte della Libia: il rispetto delle norme e standard internazionali da parte delle autorità libiche doveva costituire una condizione imprescindibile per l’attuazione della cooperazione prevista; 2) la creazione di un organismo di controllo esterno indipendente sulla situazione dei diritti umani in Libia, garante del principio della trasparenza nell’applicazione dell’accordo.
L’accordo ratificato rende direttamente complice l’Italia della violazione dei diritti umani perpetrati in Libia.
In Libia avvengono ormai quotidianamente retate nei quartieri dove vivono gli immigrati africani, a Tripoli, a Bengasi, ad Agedabia , le principali città della costa. I migranti arrestati sono poi detenuti in vere e proprie carceri: una ventina di prigioni, tre delle quali sarebbero state finanziate dal Governo italiano secondo un documento dell’Unione Europea del 2004.
Esiste un intero corpo di polizia addestrato alla tortura, non soltanto dei migranti ma anche degli oppositori politici. Un trattamento uguale se non peggiore viene riservato agli stranieri, soprattutto a quelli dell’Africa sub-sahariana, soprattutto verso le donne.
Le persone vengono rinchiuse in celle di quattro metri per cinque in 40, 50 e sono rimpatriate verso i loro paesi anche quando si tratta di rifugiati politici. La Libia non ha mai firmato la Convenzione di Ginevra e non esiste alcuna forma di tutela per i rifugiati..
In data 30 marzo 2009 il Ministro dell’Interno Maroni ha dichiarato che l’accordo sottoscritto di pattugliamento delle coste libiche sarà attuato dal 15 maggio c.a.