Centri di detenzione a Malta e Lampedusa : le rivolte della disperazione
comunicato stampa Migreurop
Il movimento di rivolta esploso il 18 febbraio nel sovraffollato centro d’identificazione ed espulsione della piccola isola di Lampedusa, non é dovuto solo alle condizioni inaccetabili nelle quali sono detenuti i migranti.
S’inscrive in un contesto di strumentalizzazione della questione migratoria da parte del Governo Italiano che, da quando é al potere, alimenta le tendenze razziste di una parte della popolazione per giustificare l’adozioni di misure di sicurezza. Mantenendo ammassati parecchie centinaia di migranti in un centro, concepito inizialmente per un transito di breve durata, minando constantemente la loro dignità; violando apertamente i diritti che riconosce loro la legge, soprattutto nei confronti dei richiedenti asilo; rimpatriando con la forza delle persone che potrebbero subire delle violenze o degli atti di tortura al loro arrivo, le autorità alimentano di proposito l’angoscia e l’esasperazione dei detenuti, come lo dimostrano i numerosi tentativi di suicidio. Allo stesso tempo, cercano di alimentare il malcontento della popolazione locale. Attualmente gli abitanti dell’isola di Lampedusa hanno saputo resistere a questa provocazione.
A Malta, altra isola del Mediterraneo, il centro di detenzione di Hal Far ha preso fuoco il 19 febbraio durante una rivolta. Cosi come a Lampedusa, i maltrattamenti nei centri di dtenzione sovraffolati sono la norma anche in questo paese, come le durate interminabli di permanenza, il non rispetto delle leggi e delle convenzioni relative ai diritti fondamentali. Ma a Malta, l’incendio del centro si sviluppa su un fondo di ostilità esacerbata verso gli stranieri, ostilità profondamente intrattenuta, se non addirittura incoraggiata, dalle autorità maltesi.
Queste manifestazioni di disperazioni sono anche il frutto della complicità dei paesi d’origine e di transito dei migranti che, in nome della « co-gestione » dei flussi migratori, contrattano la loro collaborazione alla politica criminale di protezione delle frontiere de l’Unione Europea (UE). Dopo il Marocco o il Senegal, oggi é il caso della Tunisia che a fine gennaio ha firmato un accordo con l’Italia accettando il rimpatrio, fino alla fine di marzo, di 500 Tunisini tra quelli detenuti a Lampedusa. Poco importa che essi siano espulsi nella regione di Gafsa, dove i movimenti e le proteste popolari contro l’inigiustizia sociale hanno subito recentemente una forte repressione, fatta d’arresti e atti di tortura. E’ anche il caso della Libia, che si é appena vista offrire 20 milioni di euro dall’UE affiche “aiuti” nella lotta contro i migranti in provenienza d’Africa subsariana, partecipando soprattutto a delle pattuglie d’intercettazione marittima delle boat-people. Tanto peggio per i rifugiati che speravano di trovare protezione in Europa.
Gli eventi di Malta e Lampedusa sono, infine, il risultato dell’ipocrisia dell’UE, che assiste senza indispettirsi alle illegalità manifeste, note e ricorrenti, che sono commesse sul suo territorio. Nonostante sia dotata di leggi nell’ambito dell’accoglienza dei richiedenti asilo che s’impongano a tutti gli Stati Membri, nonostante che il suo Parlamento abbia, in due risoluzioni recenti, proclamato la sua preoccupazione riguardo alla moltiplicazione dei centri di detenzione per stranieri e le violazioni dei diritti che vi sono commessi, nonostante gli Stati Membri abbiano sottoscritto le norme internazionali sulla protezione dei diritti umani, come la Convenzione europea del 1950 che proibisce dei trattamenti inumani e degradanti e le espulsioni collettive, l’Ue lascia violare questi principi senza intervenire.
Piuttosto che anticipare le cause della partenza, che gettano in mare delle migliaia di vittime dell’oppressione e della miseria, l’Europa preferisce dare a questi “territori tampone”, tali sono le isole del Mediterraneo, il compito di dissuadere gli arrivi, nel modo più violento possibile.
Come la sinistra “direttiva rimpatri”, i campi degli stranieri testimoniano l’incapacità dell’Europa a affrontare la realtà inconturnabile dell’immigrazione. Facendo cosi, assume il rischio non solo di rinnegare i suoi stessi principi, ma anche di preparare le prossime rivolte della disperazione, che stanno già scoppiando a Torino, a Milano, cosi come a Bordeaux, a Palaiseau (Parigi) e a Vincennes qualche mese fa.
E più urgente porre fine alle condizioni inumane di detenzione dei migranti, a Malta, a Lampedusa, e in tutti i luoghi di permaneza dove i diritti siano violati.