63 migranti morti nel Mediterraneo: l’esercito francese dovrà finalmente dare spiegazioni

Dopo il tragico naufragio – conosciuto come il “left to die boat”- in cui 63 persone hanno perso la vita in prossimità delle coste libiche, nel marzo del 2011, nel pieno delle operazioni militari della coalizione NATO, qualche superstite e diverse organizzazioni il 14 giugno del 2013 hanno denunciato l’esercito francese per non aver fornito assistenza alle persone in pericolo.

Senza condurre alcuna indagine, il giudice istruttore, il 6 dicembre 2013, si è espresso per il “non-luogo a procedere”, dando credito alle dichiarazioni dello Stato Maggiore della Difesa secondo cui nessuna nave francese era presente in quella zona al momento del naufragio, ignorando i rapporti di organismi europei che ribadivano la necessità di condurre un’indagine approfondita per accertare quali navi fossero presenti.

I sopravvissuti, le famiglie delle vittime e le organizzazioni che li sostengono hanno presentato ricorso contro la decisione del “non-luogo a procedere”, rivendicando il diritto a conoscere la verità.
Oggi la camera istruttoria ha respinto il giudizio di “non-luogo a procedere”, ritenendo che un’inchiesta giudiziaria debba invece essere aperta.

Questa decisione suona come un avvertimento per l’Unione europea e i suoi Stati membri, impegnati a mettere in atto ogni tipo di ostacolo - giuridici, fisici, paramilitari - per impedire ai migranti, considerati indesiderati, di attraversare le frontiere.
Sappiamo, tuttavia, che la moltiplicazione di tali costosi e sofisticati dispositivi non scoraggia i migranti, ma piuttosto li costringe a ricorrere a metodi più pericolosi per raggiungere il territorio europeo.

La decisione dei giudici francesi di aprire un’inchiesta servirà a far prendere coscienza che i morti in mare, la cui lista si allunga ogni giorno di più, non possono essere considerati semplici danni collaterali di questa cinica politica di gestione dei flussi migratori. Ci auguriamo che, a differenza di quanto succede adesso, costringa tutti a smettere di fingere di non vedere quali drammi provochino le politiche seguite sin qui, tanto più deprecabili se accadono sotto gli occhi dei nostri eserciti.

Riepilogo dei fatti

Nel marzo del 2011, 72 migranti lasciano la Libia in pieno conflitto a bordo di un barcone diretto verso l’Italia. Rapidamente perdono il controllo del barcone e lanciano una richiesta di soccorso. Il loro appello viene ricevuto dalla Guardia Costiera italiana, che a sua volta lo indirizza alla NATO e alle navi militari presenti nel mar Mediterraneo, indicando la posizione del barcone. Le chiamate saranno rinnovate ogni 4 ore per 10 giorni. Non ricevono nessun soccorso. Il barcone viene avvistato da un aereo, un elicottero militare, incrocia due barche da pesca e una grande nave da guerra: tutti ignorano le richieste di soccorso. Dopo 15 giorni alla deriva, finisce sulla costa libica. A bordo, solo 11 i sopravvissuti, di cui 2 moriranno poco dopo lo sbarco in Libia. 63 persone, tra cui 20 donne e 3 bambini sono dunque morti per la mancanza di soccorsi.

Le responsabilità di questo caso investono anche i militari britannici, italiani, canadesi, le forze spagnole, statunitensi e belghe, che si trovavano in prossimità del barcone alla deriva. Per questo motivo, i sopravvissuti hanno presentato una denuncia anche in Italia nel 2012, in Spagna nel giugno 2013, e in Belgio il 26 novembre 2013. Richieste di chiarimenti sono state presentate nel Regno Unito, negli Stati Uniti e in Canada per ottenere chiarimenti sulle azioni dei militari di questi paesi nel Mediterraneo all’epoca dei fatti.

Un’inchiesta dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, pubblicata nell’aprile 2012, ha concluso che "i paesi le cui navi sono state segnalate in prossimità della barca hanno mancato all’obbligo di soccorrere queste persone". Recentemente, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha espresso un giudizio negativo sul trattamento che l’Italia riserva ai migranti che cercano di raggiungere l’Europa via mare. Infatti, nel caso Hirsi contro Italia, la Corte Europea ha qualificato come intollerabili il disprezzo e l’indifferenza che sono riservati ai migranti, sostenendo che il Mar Mediterraneo non è una zona di non diritto.

27 giugno 2014

FIDH - MIGREUROP - GISTI - REMDH - LDH