I respingimenti di migranti in Libia violano il diritto d’asilo, le norme nazionali, comunitarie e internazionali

Un pool di NGO italiane ed estere, tra cui l’ASGI, invia esposti alla Commissione europea, al Consiglio d’Europa e al Comitato ONU per i diritti umani sulle gravi violazioni delle norme nazionali, comunitarie ed internazionali perpetrate dal respingimento di migranti verso la Libia.

GLI ESPOSTI ALLA COMMISSIONE EUROPEENNE IN ALLEGATO ALL’ARTICOLO IN ITALIANO E FRANCESE

I ripetuti rinvii forzati in Libia con navi italiane di migranti rintracciati nelle acque vicine a Lampedusa sono gravi violazioni del diritto d’asilo e dei diritti fondamentali della persona previsti dalle norme nazionali, comunitarie e internazionali. Un pool di NGO italiane ed estere, tra cui l’ASGI, invia esposti alla Commissione europea, al Commissario del Consiglio d’Europa per i diritti umani e al comitato ONU per i diritti umani.

http://www.asgi.it/home_asgi.php?n=314&l=it

Le associazioni si appellano alle istituzioni internazionali ed europee affinché condannino l’Italia e richiedano alle autorità del nostro paese di non procedere ad ulteriori respingimenti. Viene inoltre richiesto alla Commissione europea di intraprendere una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia per violazione delle norme comunitarie in materia di protezione internazionale. Le associazioni italiane firmatarie dell’esposto sono il Servizio rifugiati dei Gesuiti, la Comunità di Sant’Egidio, il Consiglio Italiano per i Rifugiati, l’ARCI, l’ASGI, Libera, la Federazione delle Chiese evangeliche, la Casa dei diritti sociali di Roma, i Giuristi Democratici, il Gruppo Abele, Progetto Diritti. Le associazioni estere che hanno firmato l’esposto sono il GISTI, l’ANAFE, l’Euro-Mediterranean Human Rights Network, il Jesuit Refugee Service Europe, Migreurop e FLARE network.

Nelle settimane scorse, l’ASGI con un comunicato aveva criticato la denigrazione dell’ACNUR e l’ipotesi di far raccogliere all’estero le domande di asilo, perché la Costituzione italiana garantisce l’asilo territoriale e non quello extraterritoriale, sicché la presentazione delle domande di asilo all’estero non è prevista dalla nostra normativa e una simile futura ipotesi dovrebbe comunque essere sempre residuale ed aggiuntiva e mai sostitutiva al diritto di accesso immediato del richiedente asilo al territorio italiano.

I ripetuti respingimenti di migranti intercettati al largo di Lampedusa avvenuti dal 5 maggio 2009 con rinvio forzato in Libia a bordo di navi militari italiane - che sono territorio dello Stato anche se si trovano nelle acque internazionali (artt. 4 del codice penale e 2,3,4 del codice della navigazione) - sono violazioni del diritto d’asilo e dei diritti fondamentali della persona, che sono previsti dagli artt. 2 e 10 della Costituzione, dalle altre norme nazionali (gli artt. 2, 10, 14 e 19 del testo unico delle leggi sull’immigrazione approvato con decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, anche nelle parti modificate dalla legge n. 189/2002 - c.d. legge Bossi - Fini- prevedono che lo straniero comunque presente nel territorio e alla frontiera gode dei diritti umani fondamentali della persona previsti dalle norme internazionali in vigore, consentono di differire il respingimento di persone che debbano essere soccorse e vietano il respingimento di persone verso paesi in cui rischiano di essere oggetto di persecuzioni o di essere rinviate verso altri Paesi in cui possano essere perseguitati), dagli obblighi internazionali in vigore per l’Italia, in base ai quali sono inderogabili i divieti di respingere o sanzionare in qualsiasi modo persone che potrebbero ottenere lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria, di attuare sotto qualsiasi forma espulsioni collettive di stranieri e di allontanare persone che potrebbero subire nello Stato di invio la morte o torture o pene o trattamenti inumani o degradanti (art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati, artt. 2 e 3 Convenzione europea della salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, art. 4 del Protocollo Addizionale n. 4 alla stessa Convenzione europea) e dagli obblighi comunitari che impongono di esaminare tutte le domande di protezione internazionale presentate sul territorio italiano, anche da chi è entrato irregolarmente, e prevedono il diritto di restare sul territorio dello Stato fino alla conclusione dell’esame delle domande, salvo che in caso di esecuzione di richieste di estradizione o di mandati di cattura europei (direttiva (CE) 1 dicembre 2005, n. 2005/85/CE, sulle norme minime per le procedure di esame delle domande di protezione internazionale, attuata dagli artt. 6 e 7 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 e art. 10 del Regolamento (CE) 18 febbraio 2003, n. 343/2001 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente ad esaminare una domanda di asilo).

Vi sono poi altri obblighi internazionali derivanti dalle norme del diritto internazionale del mare che esigono di tutelare la vita umana in mare, come ricorda il Manuale sul soccorso in mare redatto nel 2006 dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR_ACNUR) e dall’Organizzazione marittima internazionale.

Perciò prive di fondamento giuridico appaiono le dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri secondo il quale il Governo italiano non avrebbe violato né norme nazionali, né norme comunitarie, né norme internazionali e l’affermazione fatta dallo stesso Presidente secondo cui su quelle barche vi sarebbero soltanto persone che pagano criminali e non vi sarebbero asilanti (occorrerebbe prima identificarli uno per uno e, come accadeva agli esuli italiani, ci si affida anche a pagamento a chiunque pur di fuggire).

I dati del 2008 sulle domande di asilo presentate in Italia forniti dalla Commissione nazionale per il diritto d’asilo del Ministero dell’Interno sono in tal senso eloquenti: più di metà delle domande è accolta nella forma dello status di rifugiato o dello status di protezione sussidiaria o del rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari e altrettanto eloquenti sono le percentuali ancor più elevate di riconoscimento delle domande presentate da persone che provengono da Somalia, Eritrea e Sudan, da cui provengono molti dei migranti in fuga intercettati al largo di Lampedusa.

Una conferma viene anche dalla presentazione di specifiche domande di asilo fatte da alcuni cittadini somali respinti che hanno dato mandato ad un avvocato italiano di presentare un ricorso alla Corte europea per i diritti dell’uomo per chiedere la condanna dell’Italia per violazione dell’art. 3 CEDU.

Altrettanto infondate giuridicamente appaiono le spiegazioni del Ministro dell’Interno per il quale il rinvio forzato in Libia attua gli obblighi internazionali dell’Italia derivanti dalla prima applicazione degli accordi italo-libici in materia di pattugliamento del Mediterraneo e di contrasto all’immigrazione irregolare del 2009 e del 2007: tali accordi sono stati conclusi in forma semplificata in violazione dell’obbligo previsto dall’art. 80 Cost. di sottoporre a legge di autorizzazione alla ratifica accordi di natura politica o oneri alle finanze e il loro testo non è neppure pubblicato nel supplemento della Gazzetta ufficiale, come invece esige l’art. 13 del testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi, sull’emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana, approvato con D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 1092.

Anche perciò la legittimità dell’accordo italo-libico del 2007 già era stata criticata da un comunicato dell’ASGI del 31 dicembre 2007.
Irrilevanti dal punto di vista giuridico sono anche le affermazioni dello stesso Ministro dell’Interno fatte alla Camera il 14 maggio 2009 in risposta ad una interrogazione a risposta immediata: l’esame delle domande di asilo di persone che sono giunte sul territorio italiano: il respingimento di migranti che secondo le norme nazionali, comunitarie ed internazionali in vigore per l’Italia dovevano essere soccorsi nel territorio italiano è un atto illegittimo che non può essere giuridicamente giustificato dalle circostanza che la Libia ha ratificato la Convenzione dell’Unione africana del 1969 relativa a specifici aspetti della problematica dei rifugiati in Africa, complementare alla Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato non ratificato dalla Libia, che la impegna a garantire protezione non solo ai perseguitati, ma anche alle vittime di invasioni, guerre civili e altri eventi (sulla cui effettività non sono d’accordo lo stesso Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati-ACNUR e tutti gli organismi internazionali), né con la presenza (informale e non riconosciuta) dell’ACNUR a Tripoli, nè con la collaborazione della Libia con l’OIM e con l’Unione europea e col Ministero dell’Interno italiano nel programma AENEAS.

Ecco perché i respingimenti sono duramente criticati con una lettera ufficiale inviata al Governo italiano dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR-UNHCR) che chiede anche di riammettere in Italia le persone allontanate verso la Libia.

Il delegato in Italia in un incontro col Ministro dell’Interno svoltosi il 15 maggio ha ribadito che i respingimenti verso la Libia sono illegittimi dal punto di vista degli obblighi internazionali dell’Italia e ha chiesto con forza che tale pratica sia immediatamente interrotta.

Essi suscitano la dura critica dell’ASGI, di organizzazioni internazionali di tutela dei diritti umani e di altri enti del privato sociale, che le avevano espresse in precedenza anche in un comunicato delle organizzazioni del privato sociale raccolte nel "Tavolo asilo".