Migranti, il laboratorio delle idee

L’Indro (Italie), 22/05/2015

Spingono per aprire il dibattito. Da un mese a questa parte, sull’onda della crisi umanitaria dei migranti del Mediterraneo, e più recentemente sudest asiatica, ricercatori ed esperti dell’immigrazione moltiplicano gli interventi per sollecitare una reazione mediatica e politica

Ridurre le restrizioni, inaugurare procedure legali di immigrazione, garantire una protezione giuridica ai migranti in caso di afflusso massivo : gli argomenti sono in controtendenza con l’approccio politico europeo – focalizzato su una restrizione di accesso, un rafforzamento della polizia di frontiera e dei poteri di detenzione sulla persona – e ribadiscono il diritto alla libertà di circolazione.

Un appello ai decisori politici è stato pubblicato in queste ore sul sito di OpenDemocracy a firma di trecento accademici. Denunciano l’operazione militare navale approvata dai governi europei contro gli scafisti libici, inizialmente annunciata (lunedi 11 maggio) come non strategica (« Nessuno vuole dei bombardamenti » aveva affermato il ministro degli Esteri Federica Mogherini) e smascherata nei giorni a venire dal ‘Guardian‘ come campagna militare navale aerea, con possibili danni collaterali.

« Con quale giustificazione morale » scrivono professori, ricercatori ed esperti firmatari « alcune delle nazioni più ricche del mondo impiegano le loro forze navali e tecnologiche in un’operazione che porta alla morte alcuni fra gli uomini, donne e bambini più poveri e delle regioni in guerra più lacerate al mondo ? ». Definendo il piano come ‘completamente egocentrico’ e basato ‘su una pericolosa perversione della storia’ i firmatari affermano con forza che intervenire militarmente sulla rete degli scafisti per eliminarla senza offrire ai migranti nessuna alternativa allo spostamento ha effetti pericolosamente controproducenti : « Tentare di schiacciare con la forza militare il contrabbando di esseri umani » recita il testo « non significa prendere una posizione nobile contro il male della schiavitù, o contro le ‘tratte’. Significa semplicemente continuare una lunga tradizione che prevede – com’era per gli stati schiavisti del 18simo e 19simo secolo – l’uso della violenza per impedire ad alcuni gruppi di esseri umani di spostarsi liberamente ».

L’appello si conclude con la richiesta esplicita alla classe politica di una presa di coscienza, smettendo di « abusare della storia dello schiavismo per legittimare azioni deterrenti » e a favore di un’azione garante della libertà di movimento e di quel « ‘diritto allo spostamento‘ elaborato nell’Ottocento dagli attivisti afroamericani contrari alla schiavitù ».

Gli accademici di OpenDemocracy non sono i soli ad essere convinti che il primo passo da fare sia quello di ridurre le restrizioni di movimento. La posizione è condivisa dai maggiori esperti di immigrazione. Con alcune proposte sorprendenti : in un editoriale pubblicato venerdì scorso sul ‘New York Times’ (‘Lasciate i siriani stabilirsi a Detroit‘) i due ricercatori americani David Latin e Marc Jahr propongono di ripopolare di siriani la capitale dell’automobile caduta in fallimento a luglio 2013.

In leggera ripresa economica – la giustizia americana ha accettato a novembre di riprendere in mano la città, rinegoziandone il debito, all’epoca di 18,5 miliardi di dollari – ma in piena crisi demografica, Detroit rappresenta agli occhi dei due accademici una concreta opportunità di crescita tanto per la città quanto per i 2,4 milioni di siriani senza domicilio oggi rifugiati in Tuchia (1,8 milioni) e Giordania (600mila).

A gennaio 2014, il governatore del Michigan Rick Snyder aveva avuto un’idea simile (accogliere 50mila immigrati siriani per farli partecipare al rilancio della città). “Dobbiamo essere realisti” commenta Olivier Clochard di Migreurop, “la strada dell’apertura delle frontiere è lunga : confrontati come siamo all’urgenza della situazione e alle restrizioni imposte dai Governi, è chiaro che bisogna procedere per tappe. Come primo passo noi chiediamo di aprire dei canali legali di immigrazione“.

E se le politiche dei visti complicano il dibattito – una proposta di visti a pagamento, non condivisa da Migreurop (“è una falsa soluzione“) è stata avanzata dalle ricercatrici Emmanuelle Auriol dell’Università economica di Tolosa e Alice Mesnart della City University di Londra – la rete associativa chiede di applicare una direttiva europea votata a luglio 2001 che accorda una protezione alle persone che si presentano alle frontiere in caso di immigrazione di massa.

Condivisa a livello internazionale anche da alcuni economisti (compreso Philippe Legrain, dal 2011 al 2014 consulente economico di José Manuel Barroso alla testa della Commissione Europea), in Francia l’ipotesi dell’apertura delle frontiere è sostenuta con forza da François Gemenne. Specialista delle migrazioni e attivista di MobGlob – un collettivo che riunisce anche l’antropologo Michel Agier, che ha di recente coordinato la pubblicazione di Un monde des camps, opera di ricerca sulle migrazioni stabili con la prima cartografia ufficiale dei campi profughi mondiali -, Gemenne afferma che l’apertura dei confini europei, “considerata come utopica e ingenua, è in realtà la soluzione economicamente più lungimirante“.

Per il ricercatore – che nel quadro dell’azione MobGlob sta lavorando ad una pubblicazione che illustri nel dettaglio perché l’apertura delle frontiere è una scelta economicamente e socialmente sostenibile – “ci si ostina a vedere l’immigrazione come un costo, quando è un’opportunità. I migranti contribuiscono al PIL del Paese in cui sono integrati, più il loro statuto è legale più anche i controlli della polizia sono facilitati. E da un punto di vista commerciale – continua Gemenne – per la circolazione dei capitali la liberalizzazione è auspicabile. Le barriere sono economicamente negative“. Se le proposte di Gemenne trovano una buona eco nelle reti ong e di settore, rimangono impermeabili al mondo politico. “C’è un vero sforzo di onestà da fare a tutti i livelli, per ridurre l’informazione menzognera e le cifre allarmanti insistentemente diffuse“ ammette.

A dar voce al sentimento di diffidenza, complice la crisi lavorativa e la risalita dell’estrema destra in Europa, cade anche l’ultimo rapporto Mipex Francia : l’osservatorio cofinanziato dall’Unione Europea per valutare a livello comparativo le politiche di integrazione di 38 Paesi sottolinea per l’Esagono una riduzione degli sforzi in diversi ambiti – educazione in testa -, attribuendo al Paese una nota globale di 54/100, che la posiziona al 17simo posto della classifica. “Questo voto“ commenta France Terre d’Asile “dice che la Francia crea più ostacoli che opportunità capaci di permettere realmente ai migranti di integrarsi nella società francese“. Il rapporto italiano è in attesa di pubblicazione.

Nella sua azione di informazione e sensibilizzazione sulle tematiche dell’immigrazione France Terre d’Asile è anche promotrice delle marce di solidarietà : la prima è in programma quest’estate da Calais a Bruxelles, con partenza intorno al 15 agosto per una durata di 12 giorni. “L’obiettivo dell’iniziativa è sia di dare un messaggio forte ai politici, sia di parlare alle persone” spiega Olivier Favier, autore del sito di informazione Dormira jamais e co-promotore dell’iniziativa. “L’idea è di confrontarsi, di prendere il tempo di discutere, dibattere, analizzare i falsi miti“. Un appello è stato redatto per la mobilitazione (per il momento lo trovate qui in francese) e una petizione in più lingue sarà lanciata on line il 29 maggio prossimo : chi vuole firmare l’appello lo puo’ già fare inviando nome, cognome e denominazione a France Terre d’Asile o Olivier Favier (dormirajamais@dormirajamais.org). “Quello che vogliamo promuovere non è una sola iniziativa citoyenne, ma un movimento civico associato ad un insieme di iniziative a livello europeo sulla base di questo breve manifesto. Con Pierre Henry (direttore di France Terre d’Asile) ci auguriamo di cuore che la nostra iniziativa prenda piede, e che quello che ne deriverà superi completamente le nostre aspettative“.

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