DOPO UN TENTATIVO DI FUGA UN INCENDIO FA CHIUDERE IL CIE DI CALTANISSETTA.

NESSUNO NE PARLA ED IL SISTEMA DEI CENTRI DI DETENZIONE ESPLODE.

1. L’agenzia Adnkronos riferisce il 14 novembre di una “rivolta” che la notte precedente si sarebbe verificata nel centro di identificazione ed espulsione di Pian del Lago a Caltanissetta. Secondo l’agenzia, che è passata sotto la censura della stampa, dopo le due di notte un gruppo di migranti, “dopo aver divelto il piano superiore in cemento armato di un tavolo dalla mensa ha tentato di sfondare i cancelli laterali del Cie, utilizzando il tavolo come ariete”.

Si sarebbe verificato un “lancio di oggetti attraverso le sbarre al personale delle forze di polizia e dell’esercito Italiano intervenuto per sedare la rivolta”. Secondo la stessa agenzia “a quel punto gli extracomunitari si sono allontanati dalla recinzione in ordine sparso spostandosi all’interno dei tre padiglioni dormitorio e hanno appiccato il fuoco a tutti i materassi e ad altri oggetti. Sul posto sono intervenuti anche i Vigili del Fuoco per spegnere le fiamme. La scarna cronaca è alla fine rassicurante. L’Adnkronos riferisce che “al termine dei disordini nessun immigrato si e’ allontanato dalla struttura e non si sono registrati feriti ne’ tra gli stranieri ne’ tra le forze di polizia. Sono al vaglio degli investigatori della Polizia le posizioni degli extracomunitari responsabili di danneggiamento”.

Nessuno ha diffuso la notizia che dopo l’ incendio il centro è stato gravemente danneggiato al punto da essere chiuso. Oggi il CIE di Pian del Lago è vuoto e completamente inutilizzabile..

Gli immigrati che erano detenuti nel CIE di Pian del Lago e che avevano inoltrato una domanda di asilo sono stati trasferiti nel CARA ( centro di accoglienza per richiedenti asilo) contiguo alo stessol centro di identificazione ed espulsione, gli altri, la maggioranza, sono stati trasferiti in vari CIE in diverse regioni d’Italia. In questo momento in Sicilia è attivo solo il centro di identificazione ed espulsione di Trapani, con una capienza di 50 posti circa, ed il centro polifunzionale di Cassibile, che occasionalmente viene utilizzato anche come centro di detenzione amministrativa. Occorre ricordare anche che le proteste della Rete antirazzista siciliana, ed ispezioni da parte di commissioni di inchiesta e del Comitato per la prevenzione della tortura hanno portato alla chiusura del centro di detenzione di Agrigento ( sito in contrada San Benedetto) e nel 2007 del centro femminile di Ragusa..

Quanto succede oggi nei CIE italiani, una rivolta analoga si era verificata poche settimane fa anche nel CIE di Trapani, come nei CIE di Ponte Galeria a Roma, di via Brunelleschi a Torino, di via Corelli a Milano, ed ancora a Gradisca d’Isonzo, Brindisi, Bari e Modena, è conseguenza della scelta aberrante del governo che ha portato a sei mesi il tempo massimo di detenzione amministrativa, adducendo come pretesto quanto avviene in altri stati europei e la minaccia che sarebbe costituita dagli immigrati irregolari per la sicurezza dei cittadini e l’ordine pubblico.

L’entrata in vigore delle nuove norme ha fatto esplodere i CIE in tutta Italia, non solo con rivolte e tentativi di fuga, ma anche con numerosi atti di autolesionismo e persino suicidi, e come confermano i dati diffusi dal ministero dell’interno, il numero degli immigrati effettivamente espulsi dall’Italia non è aumentato per niente rispetto al periodo precedente nel quale la permanenza nei CIE era limitata a due mesi.

Il prolungamento a sei mesi della detenzione amministrativa ha risposto soltanto alla strumentalizzazione elettorale di tutte le questioni riguardanti l’immigrazione e l’asilo, una politica perseguita da tempo dalle destre, con gravissime responsabilità della parte maggioritaria dell’attuale opposizione.

Non si può dimenticare infatti che i CPT ( Centri di permanenza temporanea) furono introdotti nel 1998 dalla legge 40 cd. Turco-Napolitano senza alcuna garanzia giurisdizionale, al punto che la Corte Costituzionale con la sentenza n.105 del 2001 dovette ribadire che la loro legittimità poteva essere ammessa soltanto se si fosse garantito il rispetto dell’art. 13 della Costituzione che stabilisce la necessità di una tempestiva convalida giurisdizionale dei provvedimenti di polizia limitativi della libertà personale.,oltre a vietare “ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a limitazioni di libertà”. Un precetto costituzionale che ha carattere inderogabile e che dovrebbe essere fatto valere tutti i giorni nei centri di detenzione e nelle carceri italiani. Le cronache dicono purtroppo che si verifica l’esatto contrario e che le “ violenze fisiche e morali” costituiscono la realtà quotidiana non solo dei CIE ma delle carceri italiane.

2. In base alla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, se l’art. 5 comma 1 lettera f.della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU) ammette la detenzione amministrativa “regolare” di una persona “contro la quale è in corso un procedimento d’espulsione o d’estradizione”, occorre tuttavia che la misura limitativa della libertà sia “proporzionata ed adeguata”, e che abbia una durata commisurata all’esigenza di assicurare le misure di allontanamento forzato.

Secondo la Corte Europea dei diritti dell’uomo, una violazione dall’art. 5 potrà risultare sia da una detenzione amministrativa “non conforme” rispetto a tali criteri, che dalla mancanza di un ricorso effettivo. Secondo l’art. 5.4 della CEDU “ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha diritto di presentare un ricorso ad un tribunale, affinchè decida entro breve termine sulla legittimità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegittima”. Ogni persona vittima di arresto o di detenzione arbitraria “ ha diritto ad una riparazione”. Anche in questo caso viene richiamato il principio che la decisione deve giungere entro un breve termine, e non certo entro mesi e mesi dall’inizio del trattenimento, sia pure come “ospiti”, in un centro di detenzione amministrativa.

Gli accordi di Schengen prima, oggi il Regolamento Frontiere Schengen del 2006, non impongono in Italia i centri di identificazione ed espulsione CIE), ma prevedono soltanto che i singoli paesi che aderiscono all’intesa si dotino di misure di accompagnamento forzato “efficaci”. Anche se la direttiva (2008/115/CE) sui rimpatri forzati che l’Unione Europea ha approvato alla fine del 2008, contiene la previsione della detenzione amministrativa per gli immigrati irregolari, addirittura fino ad un periodo di diciotto mesi, la stessa direttiva richiama il principio della adeguatezza e della proporzionalità delle misure di allontanamento forzato ( art. 15) ed afferma che il rimpatrio forzato deve costituire la soluzione estrema dopo il tentativo di rimpatrio volontario che va comunque tentato. In base agli articoli 7 ed 8 della Direttiva, nel caso di “partenza volontaria”, possono essere previste obblighi “di dimorare in un determinato luogo”, e solo quando non sia stata concessa la possibilità di una “partenza volontaria”, possono scattare le misure di rimpatrio e di trattenimento forzato. Ma in Italia di rimpatri volontari non ne parla nessuno e tutti pensano che basti prolungare i tempi della detenzione amministrativa per garantire maggiore efficacia alle espulsioni ed ai respingimenti.

3. Il prolungamento fino a sei mesi della detenzione amministrativa ha fatto esplodere i CIE ed ha ridotto la complessiva “capacità espulsiva” dei centri, in contrasto con il cambio di denominazione che ha una evidente funzione demagogica che non corrisponde affatto alla realtà. Una capacità espulsiva che adesso con la chiusura di Pian del Lago si riduce ancora di più.

Nella relazione allegata al Disegno di legge n.2232 presentato alla Camera dei Deputati, poi abbandonato, dopo il voto contrario del Parlamento sul prolungamento a sei mesi della detenzione amministrativa, ma riproposto negli stessi contenuti sui CIE nella legge 94 del 2009 ,entrata in vigore lo scorso agosto, nella parte dedicata ai centri di identificazione ed espulsione all’art. 5, si leggeva che “attualmente i centri di identificazione e di espulsione (CIE) operativi sono dieci, per un totale di 1160 posti disponibili”. Una notizia molto interessante, seguita da proiezioni non meno interessanti. Sulla base dei dati relativi al 2007 si sostiene quindi che il tempo medio di permanenza sarebbe stato di 27 giorni e che “ con il prolungamento previsto dalla disposizione si ritiene che una stima prudenziale per determinare un nuovo tempo medio di permanenza possa individuarsi in quattro volte il tempo medio attuale ( 30 giorni per 4 = 120 giorni)”. Sempre secondo la relazione tecnica, “ ipotizzando, pertanto un periodo di trattenimento medio pari a centoventi giorni - corrispondente a quattro mesi di trattenimento - per garantire la stessa capacità recettiva con il nuovo tempo di permanenza il sistema dovrà avere un incremento di 3.480 nuovi posti”.

Secondo la stessa relazione, “oltre ai mille posti, da ottenere con interventi di riadattamento, già finanziati dalla legge 186 del 2008, “anche al fine della più rapida attuazione della normativa europea che consente il trattenimento degli stranieri da espellere fino a diciotto mesi”, sarebbero dunque da costruire nuovi CIE per 1.500 posti e ristrutturare edifici esistenti ( come la ex base Loran di Lampedusa) per i restanti 980.

Il dato più sconcertante contenuto nella relazione tecnica riguarda proprio il 2009: “in tale anno non si renderanno operativi nuovi posti nei CIE”, e dunque si resterà ai 1160 posti attualmente disponibili, o, al massimo, se ne potranno attivare un migliaio nel 2010, in virtù della legge 186 del 2008 che permette di ristrutturare edifici già esistenti, come caserme o basi militari, sempre troppo poco per “reggere” l’aumento della durata della detenzione amministrativa. Anzi oggi a quei 1160 posti vanno sottratti i 160 posti del CIE di Pian del lago a Caltanissetta, chiuso per l’incendio di qualche giorno fa.

Tutto questo “sistema” ampliato dei CIE servirebbe solo per mantenere la attuale capacità recettiva ( ma non espulsiva) del “sistema”, prolungando a sei mesi la detenzione amministrativa. Prolungamento dei tempi di detenzione amministrativa che non equivale certo ad una maggiore efficacia delle procedure di espulsione, perché se manca la collaborazione dei paesi di provenienza sessanta giorni sono già troppi, e neppure diciotto mesi potranno consentire il rimpatrio effettivo dei destinatari dei provvedimenti di espulsione o di respingimento quando gli stessi paesi di provenienza non abbiano intenzione di collaborare.

E’ peraltro noto che meno della metà degli immigrati trattenuti nei CIE italiani viene effettivamente accompagnata in frontiera e dunque l’inasprimento della durata della detenzione amministrativa produrrebbe solo l’effetto di esacerbare le condizioni di trattenimento senza incrementare di una sola unità la effettiva “capacità espulsiva” delle autorità amministrative italiane. E tra qualche anno si potrebbe scoprire dalle statistiche come l’aumento dei tempi di detenzione amministrativa abbia prodotto una diminuzione degli immigrati irregolari effettivamente rimpatriati.

La spesa per la detenzione amministrativa appare fuori controllo, come la spesa per i respingimenti e gli allontanamenti forzati. Soltanto per la realizzazione dei “nuovi” CIE per 1500 posti, ammesso che le Regioni non si oppongano, l’art. 5 bocciato dal Parlamento, ma poi riproposto nella legge 94 del 2009 con un maxiemendamento sul quale si è imposto il voto di fiducia, comporterà una spesa di 117 milioni di euro, mentre 22 milioni di euro sarebbero necessari per la ristrutturazione degli edifici esistenti.

Ed a queste somme si dovrebbero aggiungere altre decine di milioni di euro per realizzare i mille nuovi posti previsti dalla legge 186 del 28 novembre 2008, questi già utilizzabili, con i “brillanti” risultati che si sono con i lavori di adattamento fermati a metà dalla magistraura nella ex base Loran dell’isola di Lampedusa.

Insomma saranno necessari oltre duecento milioni di euro per moltiplicare i CIE in tutta Italia e per finanziare un prolungamento dei tempi della detenzione amministrativa che non farà aumentare significativamente, come si può verificare dopo il fallimento degli accordi bilaterale con la Tunisia e con il Marocco, il numero degli immigrati effettivamente accompagnati in frontiera. Malgrado i numero viaggi di Maroni a Tunisi il governo tunisino non accetta il rimpatrio di più di qualche decina di immigrati di quel paese per ciascuna settimana, e la stessa situazione si presenta con numerosi altri paesi, con qualche eccezione come l’Egitto e la Nigeria..

4. Il prossimo 29 dicembre saranno dieci anni dal rogo del centro di detenzione Serraino Vulpitta di Trapani, una strage per la quale il processo penale non è riuscito ad individuare colpevoli, ma per la quale lo stato italiano dovrà risarcire alcuni dei sopravvissuti, con una sentenza della magistratura civile che accerta finalmente le responsabilità dello stato che doveva impedire che quella strage si producesse. In quell’occasione, un tentativo di fuga culminato con una violenta repressione, fu seguito da un rogo appiccato in una cella di pochi metri quadri nella quale erano stati rinchiusi ben tredici migranti. Tre di loro morirono subito carbonizzati all’interno della cella, altri tre dopo settimane di agonia nell’Ospedale Civico di Palermo.

Oggi non è tempo di limitarsi ad una commemorazione rituale e dopo quella strage sono tanti gli immigrati che sono morti ( e continuano a morire) nei centri di detenzione, con casi di suicidio che non hanno suscitato né pietà né indagini approfondite per l’accertamento di eventuali responsabilità. Anche in vista del decennale della strage del Vulpitta, dopo la importante manifestazione antirazzista del 17 ottobre a Roma, occorre rilanciare la mobilitazione per la chiusura dei centri di detenzione e per una regolarizzazione permanente degli immigrati oggi irregolari, molti dei quali in Italia da molti anni, ed esposti al nuovo reato di immigrazione clandestina. Un reato sul quale si dovrà pronunciare al più presto la Corte Costituzionale che dovrebbe tornare ad occuparsi ancora dei centri di detenzione, alla luce del prolungamento dei tempi della detenzione amministrativa. Auspichiamo che la Corte si pronunci finalmente nel merito delle questioni senza rinvii ed atteggiamenti pilateschi che potrebbero contribuire a strappare norme fondamentali della nostra Costituzione.

Occorre soprattutto un impegno di mobilitazione straordinario in un momento nel quale l’opinione pubblica esprime una pericolosa assuefazione alla xenofobia e l’informazione trascura le questioni dell’immigrazione, si tratti di rivolte nei centri di detenzione o di respingimenti sommari, alle frontiere marittime dell’Adriatico ( Venezia, Ancona, Bari, Brindisi), o nelle acque del Canale di Sicilia, verso il lager Libia. Nessuno potrà ritenere di sostenere da solo questo impegno. Le associazioni dei migranti e le organizzazioni antirazziste italiane devono ritrovare un percorso comune, con il sostegno di gruppi di difesa legale e degli sportelli che denuncino le violazioni di legge e gli abusi ormai ricorrenti. Se qualcuno vorrà riprendere a fare politica, senza limitarsi a gestire squallide beghe di potere, questo sarà un terreno importante di impegno e di organizzazione.

Fulvio Vassallo Paleologo

Università di Palermo